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Nastri e ventagli votivi

Tra l’oggettistica minore, conservata nel nostro museo della civiltà del vino Primitivo, sono presenti alcuni nastri colorati e tre ventaglivotivi,che, acquistati in tempi ormai lontani, in una delle tante fiere paesane o presso un santuario, si portavano a casa come tipico ricordo dopo un pellegrinaggio vissuto con tanta pietà e partecipazione.

Il Salento, come si sa, è terra ricchissima di fiere,anche più di una per paese nel corso dell’anno, ed altrettanto ricca di santuari e luoghi venerati per la presenza di sacre reliquie o legati a eventi o manifestazioni miracolosi. Di questi ultimi ne ho contati più di trenta, ma quelli più frequentati da noi manduriani, anche perché più prossimi alla nostra città, sono: San Pietro in Bevagna, San Cosimo alla Macchiae Santa Lucia.

Al santuario di San Pietro in Bevagna, che sorge nella nota località balneare a pochi chilometri da Manduria, si andava e si va per impetrare dal principe degli apostoli la grazia della pioggia, quando questa occorre per le colture o quando essa è abbondante e può compromettere l’annata agraria. Il pellegrinaggio, per rilevare il quadro miracoloso, che non ha scadenze calendariali fisse, è caratterizzato da una suggestiva e particolare processione di penitenza alla quale partecipa una straripante moltitudine di fedeli, anche dei paesi vicini, che prega, invoca, canta e da portatori a spalla di grossi tronchi di alberi, una vera foresta che cammina.

Il santuario di San Cosimo alla Macchia (Oria) e quello di Santa Lucia (Erchie), in provincia di Brindisi, ma stessa diocesi con Manduria, famosi luoghi di culto e di devozione nel Salento ed in Puglia, sono meta di grandi folle di pellegrini, che chiedono o rendono grazie nei giorni deputati in cui vengono tributati i solenni festeggiamenti.

Il secondo giovedì dopo Pasqua, infatti, il paesino di Erchie, dove si tengono la fiera e la festa di Santa Lucia, richiama migliaia di forestieri e devoti della santa, provenienti da ogni parte della subregione. Il culto della santa siracusana è legato al santuario omonimo, costruito sopra una grotta in cui scorre una sorgente di acqua, ritenuta miracolosa per le malattie degli occhi e identificata con le lacrime della martire alla quale, secondo la leggenda, vennero strappati gli occhi.

Il pellegrinaggio al santuario di San Cosimo alla Macchia, dove si venerano i Santi Medici (Cosimo, Damiano, Eupremio, Leonzio e Antimo), si svolge, invece, il quinto giovedì dopo Pasqua e continua anche il giorno dell’Ascensione. Il santuarioè considerato il più importante centro di culto e di devozione del Salento, luogo ricco di spiritualità, dove migliaia di fedeli e pellegrini, provenienti da ogni parte della regione, giungono per pregare, sciogliendo voti per i favori ricevuti, ma soprattutto per chiedere ai santi anàrgiri, essenzialmente, la grazia di star bene.

Si parte per il pellegrinaggio, sin dal tardo pomeriggio o sera del mercoledì, in gruppi più o meno numerosi, affrontando la strada che porta al santuario a piedi(un tempo anche scalzi), muniti solo di un segnale luminoso, per evitare impatti con autoveicoli. In queste comitive, composte da uomini, donne di tutte le età e bambini, accanto a pellegrini atteggiati devotamente, che recitano lunghi rosari, preghiere o cantano, si scorgono pure giovani che scherzano e ridono come se partecipassero ad una festa o ad una scampagnata.Arrivati al santuario e talvolta passata la notte all’addiaccio, ci si ritrova e ci si confonde poi con quelli più comodi che arrivano con i più disparati mezzi di trasporto(nei tempi passati concarri agricoli (traènuri),con biciclette, con birocci, con scooter, con automobili, con autobus, ecc.)per ascoltare la santa messa e offrire ai santi martiri la candela benedetta secondo i propri desiderata, o eventualmente le offerte in denaro, i piccoli oggetti di oro e gli ex voto. Consumata la colazione in allegra baldoria, prima di fare ritorno a casa, dalle bancarelle degli ambulanti, sparse sul grande piazzale e ingombre di ogni genere di mercanzie, si scelgono i souvenir da acquistare e portarsi dietro a ricordo del pellegrinaggio e per devozione. Se oggi immaginette, cartoline, anelli, rosari, statuette, medagliette e varia paccottiglia in plastica sono gli oggetti più gettonati, ieri molto richiesti e venduti erano i tradizionali nastri colorati e i ventagli votivi. Queste fettucce dai vivaci colori (indicate con termini dialettali capišciòli, zacareddi, fittùcci donde li fittùcci ti santuCòsumu) si legavano al braccio o al polso a scopo ornamentale e molto diffusa era pure l’usanza di adornare con esse i manubri delle biciclette, le antenne radio delle prime autovetture, i finimenti dei cavalli e la frusta dei carrettieri (škuriàtu). I colori rosso, verde e giallo invece rimandavano nella simbologia ai vestiti dei santi, dei quali molti devoti erano soliti anche abbigliarsiper promessa fatta. I nastri colorati erano anche donati alle persone care e agli amici al pari delle medagliette benedette e i santini, con il chiaro significato di protezione.

Anche irustici ventagli votivi (intalori), confezionati con materiali poveri (una bacchetta di legno con inserito a mo’ di bandiera un cartone rigido, contenente su entrambe le facce immagini sacre), facevano puntualmente la comparsa sulle bancarelle degli ambulanti nelle sagre paesane o presso i santuari … e qui mi fermo, lasciando la parola, anzi la penna a Rossella Barletta, illustre, nota ed apprezzata ricercatrice leccese, che ha trattato l’ argomento, che di seguito vi propongo, in maniera esaustiva e con grande competenza in un suo volume monografico di recente edizione. Mi permetto di aggiungere questa sola notazione: con la stessaparola intaloranel nostro dialetto si indica pure la girandola, la banderuola, la ventola per ravvivare il fuoco, l’aquilone e la nuvola annunciatrice del levar del vento.

I ventagli devozionali
Vi è da ricordare che un tempo, in occasione delle feste, si trovavano i ventagli devozionali, così costituiti singolarmente; si trattava di un ventaglio rigido, ossia un rettangolo di cartone di cm 20 x 15, innestato ad una bacchetta di legno di cm 45 da uno dei lati lunghi, diventando così una sorta di banderuola. Su di una facciata recava l’immagine del santo o della santa, cui si dedicava e, sull’altra facciata, l’immagine sacra, il cui culto era più popolare. Entrambe le facciate erano bordate con una riquadratura di carta velina colorata. Anche la bacchetta, utile a imprimere il movimento per lo sventolio, era ricoperta di carta velina colorata.
Le semplici e schematiche figure riportate sui cartoncini erano incisioni su rame o zinco, talvolta imprecise per la continua riproduzione dalle matrici; esse non sono purtroppo firmate. Sono stampe a inchiostro nero su bianco. Al di là dell'uso pratico, i ventagli devozionali sono serviti al popolo per venerare i santi riprodotti su questi ventagli e per rivolgere ai santi preghiere e chiedere assistenza, protezione, grazie.
Un tempo si trovavano in vendita a fianco della chiesa dove si custodiva la statua del santo festeggiato. E i fedeli, dopo avere reso onore a quest’ultima, assecondavano un altro rito di fede apotropaico: compravano il ventaglio che, al rientro in casa, ponevano sulla spalliera del letto, sopra l’acquasantiera di terracotta, fra gli intrecci della palma benedetta e accanto alla candela della Purificazione.
L’industria della confezione dei ventagli devozionali, ormai scomparsa, si concentrava soprattutto a Galatina, dove vi erano due tipografie specializzate, quella di Salvatore Mariano e figli, fondata nel 1860, e quella della stamperia Rizzelli, entrambe scompar¬se. Chi fabbricava i ventagli usava venderli direttamente durante le feste, spostandosi nei paesi o presso i santuari a bordo di un modesto carretto già durante le ore notturne. In periodi particolari gli stampatori-venditori erano in continuo movimento: a Scorrano già il 6 luglio per Santa Domenica, invocata per i flagelli delle pestilenze, dei terremoti e de lu male tiempu, il maltempo; a Miggiano il 17 luglio per santa Marina, invocata per il male di testa e da chi era afflitto da oligoemia (riduzione della massa sanguigna, impropriamente detta anemia) o da colorito giallastro; a Martignano il 27 luglio per pre¬gare san Pantaleo, per salvaguardare da mali diversi e per invocare con fervore: santuPantaleumiufamme la grazzia e ieu me spogliututtunnnzi a ttie, san Pantaleo mio fammi la grazia ed io mi spoglio tutto dinanzi a te; a Galatina il 29 giugno per la festi¬vità dei Santissimi Pietro e Paolo, a quest’ultimo si ricorreva per chiedere aiuto contro il morso dei rettili; a San Donato il 7 agosto, per chiedere la protezione dall’epilessia; a Sogliano Cavour il 10 agosto per chiedere la protezione contro le ustioni, e poi a Torre Paduli, il 16 agosto, per san Rocco invocato da chi era affetto da piaghe giudicate ingua¬ribili, dagli appestati, secondo la credenza che santuRoccue' de li piagati, san Rocco è dei piagati; a Sanarica, l’8 settembre, per la Madonna di Sanarica (del sanamento, della guarigione); a Ugento il 27 settembre, diesnatalis dei santi Medici Cosma e Damiano, medici e taumaturghi, invocati per la guarigione di qualsiasi malattia.
La tipografìa Mariano stampava e diffondeva anche le immagini della Madonna di Montevergine, festeggiata il 5 maggio, e delia Beata Vergine di Leuca, festeggiata il 15 agosto. Naturalmente la produzione di ventagli con la raffigurazione dei santi più celebri non finiva qui e bisogna elencare santi come Eligio, Giuseppe patriarca, Lucia, Antonio da Padova e via dicendo.
I ventagli si vendevano e bene, se si pensa che, in un anno (1943), furono venduti da mille a ottomila esemplari per santi come san Rocco.

Rossella Barletta è nata a Lecce, dove risiede, nel 1952.
Salentinaintus et in cute o, se meglio volete, inter medullas,da oltre quaranta anni indaga e studia i mille aspetti del suo e del nostro ricco patrimonio storico, folclorico, antropologico, artigianale, turistico e gastronomico. In questi ultimi tempi i suoi interessi di studio vanno convergendo sul recupero del lessico dialettale e gergale, prima che cada completamente nell’oblio, con i suoi risvolti umani, sociali e storici.
Ricca (oserei dire sterminata) e di tutto rispetto è la sua produzione scientifica, che si sostanzia essenzialmente in monografie mirate, non disdegnando pure saggi, articoli, collaborazioni, contributi, conferenze e presentazioni.

Segnalo, pescando a caso, alcuni titoli (abbreviandoli pure) di suoi lavori:
La civiltà del Salento (1987), La pietra ritrovata (1990), Tabacco, tabaccari e tabacchine nel Salento (1994), Percorsi d’artigianato salentino (1995), Din don dan(1999), Somatomazia popolare nel Salento (2001), Lecce città d’arte (2001), Latte & formaggi salentini (2002), Santa Maria di Cerrate(2003), Ricami, pizzi e merletti (2004), Artigianato nel Salento (2004), Pietre del Salento (2005), Dolci tipici salentini (2006), Cicalata su diavoli, streghe, fate e orchi salentini (2006), La nonna ricorda (2006), Il presepe popolare salentino (2007), Salento da scoprire (2007), Architettura contadina del Salento (2009), Riti e culti salentini dal Carnevale alla Pasqua (2009), Guida pratica ai trappeti sotterranei nel Salento (2010), La cucina del Salento (2011), Coccia ttezzicca! (2011), Scazzamurieddhri (2011), La cartapesta nel Salento (2011), Pilucontrupilu(2013), Cane nu mangia cane (2013).

I ventagli devozionali è estratto da: Rossella Barletta, Quale santo invocare? Feste e riti del calendario salentino, Lecce, Edizioni Grifo, 2013.
(Le Edizioni Grifo Via Sant’Ignazio di Loyola, 37 - 73100 Lecce - telefono 0832 / 454358, nella persona di Pierpaolo Cingolani, si dicono disposte a concedere eccezionalmente a lettori ed estimatori della rivista Alceo Salentino uno sconto particolare sul prezzo di copertina per l’acquisto della detta opera)